VideoGiocArte

Quando, solo nel 2012, 14 titoli della storia del videogioco sono entrati nella collezione permanente del MoMa di New York ci sono state reazioni contrastanti. Paola Antonelli, la allora curatrice del dipartimento di design del MoMA, la prima a portare all’interno di un’istituzione museale dei videogiochi, fu pesantemente criticata dalle pagine del Guardian.

Oggi, dopo soli 5 anni le cose sono solo in parte cambiate, il problema dell’Arte nei videogiochi alimenta dibattiti su Internet, sui Social Network e, di tanto in tanto, anche su testate prestigiose e riviste specializzate.

L’argomento in realtà affonda le proprie radici nel problema culturale e antropologico cui si da sempre si cerca di trovare delle risposte soddisfacenti, sul significato stesso di arte, e trovo che l’approfondimento sia inutile tanto quanto quello sulla discussione di cosa sia arte e cosa no.

L’arte, nel suo significato più ampio, comprende ogni attività umana e il videogioco, che nasce come medium riconosciuto ufficialmente nel 1972 con il grande successo di “PONG” della ATARI ha oggi solo poco più di 40 anni di storia, e sta affrontando gli stessi problemi che prima di lui anche il Cinema ha dovuto affrontare, specie nei primi anni della sua vita, ma ha combattuto e combatte in parte ancora oggi, per poter essere messa a confronto con le altre “Belle Arti”, come Letteratura, Pittura, Scultura, Teatro e così via.

il videogame, inteso come nuovo medium con un proprio linguaggio, ha indubbiamente modificato la nostra realtà e sta trasformando le altre forme culturali, la socialità, il mondo.

Diamo quindi per scontato che i videogame siano un’espressione artistica a tutti gli effetti. Del resto, la questione era stata risolta, in tempi non sospetti, da Henry Jenkins (2005), direttore del programma di Comparative Media Studies del MIT di Boston, secondo il quale, «I videogiochi rappresentano una nuova arte vivace, specifica dell’era digitale, così come le forme d’arte precedenti hanno contraddistinto l’era meccanica. I videogiochi hanno introdotto nuove esperienze estetiche e trasformato lo schermo del computer in uno spazio di sperimentazione e innovazione accessibile alle masse. »

Attualmente, l’espressione artistica dei videogiochi si può distinguere in due distinte e, volendo, contrapposte forme di arte: la “Game Art” e gli “Art Games”.

Per “Game Art” si intende l’uso il videogame come fonte di ispirazione, punto di partenza, per la creazione di opere d’arte.

La “Game Art” può essere analogica o digitale. Nel primo caso, abbiamo un’ulteriore conferma che le arti tradizionali – pittura, scultura, fotografia ecc. – possono coesistere con i nuovi media, attraverso processi di emulazione, rimediazione o incorporazione. Si consideri, per esempio, il fascino per l’estetica vintage dei videogame che ricorre nelle opere di numerosi artisti come Gary Baseman, Tim Biskup e Ashley Woo, solo per citarne alcuni.

Attualmente, l’artista più conosciuto al mondo di “Game Art” è Invader (Francia, 1969) artista e writer francese. È un artista urbano che incolla personaggi da e ispirati principalmente al videogioco arcade Space Invaders del 1978 e da altri videogames della “golden age” (primi anni ’80). Ha prodotto opere di questo genere in tutto il mondo a cui ha dato il nome di “Invasione”, con libri e mappe su dove trovare ogni opera.

La “Game Art” digitale, d’altra parte, può essere considerata una sottocategoria della Digital e New Media Art. Ironicamente, in molti casi gli artisti usano tool digitali per creare artefatti analogici.

Per “Art Games” invece si intende propriamente la realizzazione di videogiochi come opere d’arte.

La maggior parte degli Art Games sono “giocabili” online, su un personal computer, in modalità single player. Alcuni esempi includono “BlackLash” (1998) di Mongrel e Richard Pierre-Davis’, “Triggerhappy” (1998) di Thomson & Craighead, “The Intruder” (1999) di Natalie Bookchin, “Pac Mondrian” (2002) di Prize Budget for Boys, “September 12” (2001) di Gonzalo Frasca, “Average Shoveler” (2004) di Carlo Zanni e molti altri.

Per quanto gli “Art Games” siano un’espressione compiuta della “Game Art”, la seconda domanda che sorge spontanea è: “Possiamo considerare Art Games anche alcuni videogiochi commerciali?”

Non sono l’unico a considerare che la risposta non possa che essere affermativa. Cito Matteo Bittanti e Domenico Quaranta in “GameScenes. Art in the Age of Videogames” <<…Giochi come ICO di Fumito Ueda, Electroplankton di Toshio Iwaii, Rez di Tetsuya Mizuguchi, Okami di Clover Studio e molti altri mostrano che i confini tra arte e gioco sono estremamente labili. >>

2017© Carlo Santagostino

Bibliografia

Libri & saggi:
Adams, Ernest, “Will computer games ever be a legitimate art form?”, Journal of Media Practice, 2006, vol. 7, n. 1
Bittanti Matteo, Per una cultura dei videogames. Teorie e prassi del videogiocare, Edizioni Unicopli, Milano 2002
Bittanti, D. Quaranta, GameScenes. Art in the Age of Videogames, Editore Johan & Levi, Saggistica d’arte, 2006

Siti & Blog:
ArTribuneVideoLudica.game cultureLa Stampa.

 

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